Manuel Francisco dos Santos, detto Garrincha (ossia Passero, per la sua passione di cacciare i passeri), è stato il più grande numero 7 della storia del calcio, ricoprendo il ruolo di ala destra.
Uno dei più grandi calciatori di sempre, aveva un difetto fisico non trascurabile, anzi parecchi difetti fisici, tra questi la deformità degli arti, soffrendo di valgismo e varismo. Insomma aveva le gambe storte, con un’andatura da zoppo, non proprio l’ideale per fare il calciatore professionista.
Questo suo limite fu la sua “fortuna”, oltre a quella del Botafogo, squadra di Rio de Janeiro dove ha militato per parecchi anni e della selecao do Brasil.
“Il re del dribbling”, mentre si muoveva con la pelota, con le sue gambe storte, effettuava delle “finte naturali”, un dribbling che spiazzava tutti i più grandi difensori avversari, combinato alla sua velocità, lo rendevano imprendibile, costruendo una vera leggenda del calcio.
Ma se per un calciatore un difetto può diventare una fortuna, questo non accade per altri e in particolare nel mondo dell’etichettatura dei prodotti alimentari.
Nel caso delle etichette queste devono essere applicate dritte e non storte.
Necessario quindi avere macchine applicatrici che possano garantire precisione oltre che velocità.
Ancora oggi, alcune micro aziende (poche) scrivono e applicano etichette a mano, con la convinzione (sbagliata) che il consumatore apprezza un packaging non perfetto, così da rimarcare la qualità artigianale del prodotto.
In realtà, le cose stanno diversamente, almeno per la teoria di marketing prevalente, condivisa dalla GDO. Il consumatore sempre di più abbina il packaging e la sua cura nei dettagli alla qualità del prodotto, con l’equazione: packaging curato=prodotto curato e quindi di qualità.
Teoria la quale consente di affermare che le etichette storte non hanno lo stesso successo dei dribbling di Garrincha.